IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sulla richiesta di Zohar Arusi
 nato  il  26  settembre  1963 in Israele di espulsione nello Stato di
 appartenenza ai sensi dei commi 12- bis e 12-  ter  dell'art.  7  del
 d.-l.  30  dicembre  1989, n. 416, convertito nella legge 28 febbraio
 1990, n. 39, come modificato dalla legge 12 agosto 1993, n. 296;
    Visto il parere del p.m.;
                               F A T T O
    Con istanza in data  22  giugno  1993  Zohar  Arusi,  detenuto  in
 espiazione  della  pena  della  reclusione  di  anni  sei  e mesi due
 inflitta con sentenza del tribunale di Roma in data  10  aprile  1990
 per il reato di cui agli artt. 71 e 74 legge stupefacenti, passata in
 giudicato,  ha  chiesto  di  essere  espulso  dallo  Stato  ai  sensi
 dell'art. 7, comma 12- ter del d.-l. 30  dicembre  1989,  n.  416,  e
 succ. mod.
    Al  termine  dell'istruttoria  per l'accertamento delle condizioni
 richieste dalla legge ai fini della applicazione della  normativa  in
 esame,  il  p.m. in data 4 ottobre 1993 ha espresso parere contrario,
 "non risultando che il condannato abbia  pagato  la  pena  pecuniaria
 della multa di lire 10 milioni inflitta con la sentenza di condanna e
 non  potendosi  ritenere  che  la legge 12 agosto 1993, n. 296, abbia
 inteso prevedere  una  forma  di  indulto  generalizzato  sulle  pene
 pecuniarie inflitte a cittadini stranieri".
    Pronunciando  sull'istanza  dello Zohar, il tribunale, ancor prima
 di prendere in considerazione la questione proposta dal p.m., ritiene
 di dovere proporre questione  di  legittimita'  costituzionale  della
 norma dell'art. 7, comma 12- bis, del d.-l. 30 dicembre 1989, n. 416,
 e  succ.  mod.,  nella  parte in cui prevede che "nei confronti degli
 stranieri condannati con sentenza passata in giudicato  ad  una  pena
 che, anche se costituente parte residua di una maggiore pena, non sia
 superiore a tre anni di reclusione e' disposta l'immediata espulsione
 nello  Stato di appartenenza o di provenienza", in relazione all'art.
 3 Costituzione, perche'  antecedente  e  assorbente  della  questione
 sollevata dal p.m.
    Evidente  e' la rilevanza della proposta questione di legittimita'
 costituzionale nel presente procedimento.
                             D I R I T T O
    Ritiene il tribunale che la disposizione di legge in  esame  operi
 un  trattamento  differenziato  di  favore  dei  cittadini  stranieri
 rispetto ai cittadini italiani condannati alla stessa pena e  per  lo
 stesso  reato,  in  spregio  del  principio  di  uguaglianza  sancito
 dall'art. 3 della Costituzione italiana.
    E' noto che la Corte  costituzionale  ha  ripetutamente  affermato
 (sentenze   nn.  104/1969,  177/1977,  ecc.)  che  "il  principio  di
 uguaglianza  vale  pure  per  lo  straniero,  quando  si  tratta   di
 rispettare  diritti  fondamentali,  per  cui la titolarita' di questi
 diritti in testa sia al cittadino che allo  straniero  non  puo'  non
 importare una posizione di uguaglianza fra loro".
    Ritiene  il  tribunale  che,  se  il  principio di uguaglianza fra
 cittadini e stranieri vale per le  situazioni  giuridiche  attive  in
 relazione  ai diritti fondamentali della persona, non v'e' motivo per
 escludere che lo stesso  principio  valga  anche  in  relazione  alle
 posizioni  giuridiche  passive,  quale  e'  quella  costituita  dalla
 restrizione della liberta' personale per effetto di  sentenza  penale
 di condanna.
    E'  noto  a  questo  tribunale che la stessa Corte di legittimita'
 costituzionale (sentenze nn. 144/1970, 244/1974,  ecc.)  ha  chiarito
 che,  pur nell'affermata estensione del principio di uguaglianza agli
 stranieri, il principio stesso trova delle limitazioni in relazione a
 particolari  situazioni  giuridiche  connesse  alla  diversita'   dei
 rapporti  esistenti  tra  lo Stato e il cittadino e tra lo Stato e lo
 straniero, "differenze di fatto che il legislatore puo' apprezzare  e
 regolare  nella sua discrezionalita', la quale non trova altro limite
 se non nella razionalita' del suo apprezzamento".
    Ritiene tuttavia il tribunale che dette differenze  non  ricorrano
 nel caso in esame. Invero, va innanzitutto osservato che l'espulsione
 dello  straniero dallo Stato e' gia' prevista dalla legge penale (nel
 caso di cui trattasi dall'art. 86 legge stupefacenti),  per  cui  non
 puo'  assumersi  a  giustificazione  del  diverso trattamento operato
 dalla  norma  impugnata  di  incostituzionalita'  la   necessita'   o
 convenienza  per  lo  Stato  di  espellere  dal proprio territorio lo
 straniero condannato.
    Ora, l'art. 6 del codice penale vigente  statuisce  che  "Chiunque
 commette  un  reato  nel  territorio dello Stato e' punito secondo la
 legge italiana",  non  ponendo  alcuna  differenza  tra  cittadini  e
 stranieri.
    La  disparita'  di trattamento operata dalla disposizione in esame
 tra cittadini e stranieri in ordine alla  espiazione  della  pena  e'
 evidente e non ha alcun fondamento in situazioni concrete.
    Al  contrario,  l'ingiustizia  e'  resa  ancor  piu'  palese dalla
 circostanza che si tratti di cittadini stranieri condannati per gravi
 reati, i quali si sono introdotti nel territorio dello Stato solo per
 la esecuzione del delitto, come nel caso di  cui  trattasi  (corriere
 della droga), e che hanno quindi tutto l'interesse di ritornare nello
 Stato di provenienza o di appartenenza.
    L'ingiusta   disparita'  di  trattamento  genera  ulteriore  grave
 pericolo per le condizioni di tutela della collettivita',  in  quanto
 costituisce  a  favore  dello  straniero  che  delinque in Italia una
 previsione di impunita' totale o parziale, in quanto  egli  sa,  gia'
 prima  di commettere il reato, di poter contare su uno sconto di pena
 di ben tre  anni  di  reclusione.  Pure  detta  previsione  evidenzia
 l'ingiusto, oltre che pericoloso, differenziato trattamento di favore
 dello straniero rispetto al cittadino di fronte alla legge penale.